Debora Baldi

Nata nel 1981, ho vissuto molti anni fra scuola privata, pallavolo e famiglia, sempre senza ammettere di subire atti di bullismo, anche se negli anni novanta non se ne parlava ancora. Un brutto incontro mi rese anoressica, bulimica, insomma affetta da disturbi alimentari. La sera del mio diciassettesimo compleanno la prima lezione di equitazione, e pur con tanta paura l’anno dopo avevo il mio primo cavallo. Lasciai gli studi e li ripresi col groom del maneggio, con corsi serali in socio pedagogico. Ma i cavalli erano la base del mio star bene, aiutavo e curavano coloro che avevano bisogno e riallenavo alle gare chi doveva iniziare di nuovo a prepararsi. Nella mia vita era entrato il mio unico vero grande amore, Phantomas 007, con cui avrei fatto tutto e la cui morte, a seguito di un trauma molto grave per entrambi, non è stata superata. Il suo ritiro dalle gare mi spinse a buttarmi in studi universitari, non dei miei sogni, ma grazie a cui ho potuto proporre questa ricerca che conferma quanto avevo sempre sentito dentro di me: che l’unico a capire il mio stato d’animo era il mio cavallo soprattutto, ma anche gli altri. Sullo stesso fil rouge ho seguito volontariato, e ne sono stata io stessa protagonista dopo la perdita di memoria a causa di gravi crisi epilettiche a cui il mio corpo si era spinto fra la morte di Phantomas e l’arrivo di Ussaro. Oggi più che mai le ricerche vanno avanti, ma l’equitazione tende a stare ferma sulla disabilità e sui benefici che porta, non da ultimo la chiusura di San Patrignano settore equestre; tanta ricerca ma solo fine a se stessa, ma da conoscere e capire che in fondo su un cavallo siamo tutti un pochino disabili se non lo conosciamo, così come con lui siamo più abili in empatia e visione del mondo.